di Giulio Ginnetti Il documento più caro ai romeni è la Colonna Traiana, di cui nel Museo di Bucarest si conserva una fedele copia, ma accuratamente smontata, per permettere al visitatore di seguire, nei suoi rilievi marmorei, la minuziosa ricostruzione che essa offre dei trionfi di Traiano. L’“ultima figlia di Roma”, come è stata chiamata la Romania, è nata infatti tra il 101 al 107, quando la Dacia fu conquistata dal condottiero romano. L’Imperatore vi insediò tre legioni, di cui una, la “XIII Gemina”, acquartierata ad Alba Iulia, rimase nella Dacia per l’intera durata del governo di Roma, fino al 271. Quest’anno ricorrono appunto i 1900 anni dell’istituzione della provincia della Dacia e, per iniziativa di Alberto Castaldini, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Bucarest, si è svolto nel mese di giugno un importante convegno a Bucarest sull’eredità di Traiano. Ma prima di Traiano, nei primi anni dell’era cristiana, il poeta romano Ovidio era stato in esilio in queste terre, morendo a Tomi, l’odierna città di Costanza, sulle coste dorate del Mar Nero. Oggi Ovidio è il nome più diffuso in Romania; Traiano è il nome del presidente di centro-destra Basescu, che alla fine del 2004, si è imposto contro un “Adriano”, il postcomunista Nastase. | Latini di stirpe ma ortodossi di religione Per i romeni, latina non è solo la lingua, ma la stirpe, discendente da quei coloni romani che si fusero con gli autoctoni daci. Quando Roma fu costretta a abbandonare la Dacia, la sua flotta continuò a navigare sul Danubio e tutta l’area fu punteggiata di fortezze, di strade, di ponti, di cippi, che trasmisero nel tempo l’eco della civiltà antica. La Dacia fu l’ultima provincia a ricevere la civiltà e la lingua di Roma, ma l’unica a custodirla gelosamente. La ragione di questa fedeltà sta proprio nel fatto che la “Dacia felix” fu l’epoca aurea di una terra su cui, dopo i romani, si riversarono a ondate i popoli più diversi: goti, unni, bulgari, tartari, turchi, impedendone l’unificazione politica. Della latinità la Romania accolse la lingua, ma non la religione, abbracciando quella ortodossa di Costantinopoli, la “seconda Roma”. Nel Medioevo i Romeni vivevano in tre Principati distinti: la Valacchia, la Moldavia e la Transilvania. Le prime due regioni furono sottomesse all’Impero ottomano, mentre la Transilvania, dopo la sconfitta subita dai turchi a Vienna nel 1683, appartenne ai domini asburgici. All’interno dei “voivodati” di Moldavia e Valacchia, vassalli della Sublime Porta, l’identità religiosa ortodossa fu però mantenuta. Si pagava un tributo al sultano, ma era proibito costruire moschee e diffondere la religione musulmana. |
La nascita della Romania come Stato nazionale è pressoché coeva a quella dell’Italia: risale al Congresso di Berlino del 1878. Il primo Re fu il principe tedesco Carol di Hohenzollern- Sigmaringen. Sul piano internazionale, il nuovo Regno strinse accordi con la Triplice Alleanza, ma nella Prima Guerra Mondiale, come accadde per l’Italia, si schierò a fianco delle potenze dell’Intesa.
Il crollo dell’Impero asburgico sembrò coronare le aspirazioni della Romania, che fu chiamata “Grande”, perché i Trattati di pace le concessero il raddoppio del territorio e della popolazione, che aumentò da 7,5 a 16 milioni di unità. La “Grande Romania” degli anni Trenta, per le sue risorse economiche (grano e petrolio) sembrò avviarsi a divenire uno dei Paesi più ricchi di Europa, ma non ebbe vita duratura.
Vittima del patto Molotov-Ribentropp fu travolta dal crollo delle potenze dell’Asse e poi invasa dalle truppe sovietiche. La monarchia degli Hohenzollern ebbe una sorte analoga a quella sabauda. Nel dicembre 1947, Re Michele fu costretto ad abdicare e nell’aprile del 1948 venne proclamata la Repubblica Popolare Romena. Si aprì, anche per la Romania una stagione di miseria e di terrore.
Vittima della barbarie comunista
Per 25 anni, dal 1965 al 1989, il destino politico della Romania coincise con quello di Nicolae Ceausescu. Tra le più gravi responsabilità dell’Occidente, c’è quella di aver accreditato Ceausescu, accanto a Berlinguer e a Tito, come portatore di una accettabile “via nazionale” al socialismo, salvo poi tacere sul processo farsa al dittatore e a sua moglie Elena, liquidati per ordine del Cremlino, mentre si sgretolava la Cortina di Ferro.
Di Ceausescu sopravvive oggi solo il “Palazzo del Popolo”, frutto della sua furiosa megalomania, un immenso edificio di 84 metri di altezza e di lati, con migliaia di stanze e sterminati sotterranei. Oggi è divenuto Palazzo del Parlamento, sede delle due assemblee legislative.
Tra le più gravi colpe di Ceausescu c’è stata quella di aver distrutto il tessuto sociale del Paese, con una politica di trasferimento forzato della popolazione dai villaggi ai centri urbani. L’obbiettivo era quello di distruggere il patrimonio di tradizioni del popolo romeno che affonda le sue radici nel carattere rurale del paese.
È stato proprio grazie alla mancanza di grandi città e di agglomerazioni urbane, che i daco-romeni riuscirono ad essere un popolo omogeneo. Ceausescu volle distruggere il romanesimo agricolo della Dacia in nome dell’utopia del “socialismo reale”, riducendo il suo popolo alla fame.
Un Paese da scoprire
La Romania merita di essere attraversata per esteso, magari seguendo il corso del Danubio, che vi irrompe dalla Serbia, aprendosi una breccia tra i Carpazi, attraverso le gole strette delle “Porte di ferro”, per poi distendersi fino al Mar Nero, dove ha la sua foce. I paesaggi della Romania sono ricchi di monasteri, come in Bucovina, e di castelli fiabeschi come in Transilvania.
Tra tutti il castello dei Corvino a Huneodara e quello di Bran, attribuito a “Dracula” perché secondo la leggenda vi soggiornò il voivoda di Valacchia Vlad III, soprannominato “l’Impalatore”, la cui vita ispirò lo scrittore irlandese Bram Stoker per il suo romanzo Dracula (1897).
Un milione di turisti viene ogni anno a visitare Sighisoara, la splendida città medievale dove nacque l’impalatore, non mancando di pernottare in un albergo di dubbio gusto quale l’Hotel Castello “Dracula”, che offre giri turistici a lume di candela attorno alla “bara” del vampiro.
Nel corso dei secoli, la pianura che da Arad a Timisoara arriva a sud, fino a Belgrado e da Oradea si spinge ad Ovest fino a Vienna è stata percorsa, nei due sensi, da armate diverse. Tra Timisoara e Cluj, due città dal sapore mitteleuropeo, passavano i confini dell’Impero. Erano i Militärgränze, distretti militarizzati di frontiera, dove gli abitanti lavoravano i campi, ma erano pronti ad impugnare spada o moschetto.
Il problema dei Rom
Malgrado le profonde influenze romane, bizantine e asburgiche, i romeni in Italia sono considerati portatori non di civiltà, ma di piccola o grande criminalità. Spesso sono confusi con i “Rom”, gli zingari, che vengono dalla Romania ma costituiscono un popolo, o forse una grande tribù, di oltre tre milioni di cittadini. I Rom rappresentano, anche in Romania, un serio problema che non si può risolvere con la retorica buonista dell’accoglienza ad oltranza.
Perché i Rom abbandonano la Romania per l’Italia? Perché nel nostro Paese si trovano leggi più condiscendenti verso quelli che fino a ieri erano considerati “immigrati” ed oggi sono cittadini europei, ma oggi, come ieri, rifiutano l’integrazione sociale nella comunità che li ospita.
Paese della latinitas
Oggi i Rom emigrano in Italia e gli intellettuali a Parigi. Se il mito fondante è la romanità, la Francia resta infatti la terra di elezione della cultura romena. Eppure l’Italia avrebbe la possibilità di porsi come interlocutore privilegiato, non solo sul piano economico, ma su quello intellettuale, del popolo romeno e di accompagnarlo nella sua avventura all’interno dell’Unione, facendo leva sulla latinità romana.
Secondo il filosofo Rémi Brague, l’Europa è contraddistinta da un tratto essenziale che solo essa possiede e che solo essa esige: la romanità o, più precisamente, la latinità. Il grande blocco neolatino, che comprende 34 Paesi dell’America del Sud e dell’Europa sud-occidentale, ha una propaggine ad oriente delle Alpi. La fonte della latinità però non è oggi né linguistica né culturale, ma eminentemente religiosa, come lo stesso Benedetto XVI ha riaffermato con il Motu Proprio Summorum Pontificum dello scorso 7 luglio.
Aderendo alla religione ortodossa, nata dallo scisma di Oriente del 1054, la Romania ha inaridito la linfa vitale della latinità, che ancora oggi ha la sua fonte in quella Roma cristiana, che è definitivamente succeduta alla Roma pagana.
(RC n. 27 - Ago/Set 2007)
http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/188/ref/3/Dossier/La-Romania,-figlia-lontana-di-Roma